E questa volta non ci sono principesse

Vincenzo Piccolo

“Da piccolo mi sentivo emarginato e allo stesso tempo abbastanza normale. Penso che tanti bambini si sentano soli e un po’ isolati nel loro mondo.”

Tim Burton

Da queste parole di Tim Burton prende spunto Arianna Camaioni per raccontarci la sua storia, il suo vissuto e le sue riflessioni che, con puntuale ragionamento, l’hanno portata all’ideazione della sua collezione ispirata ai film del regista.
Anche lei, come tanti bambini, si sentiva estranea al mondo reale e alla società che la circondava, un quotidiano che spesso può far sentire inadatti.
Queste parole e queste sensazioni sono un chiaro riferimento alla storia raccontata in Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali. Il film infatti ripercorre la vicenda di un gruppo di bambini che possiedono abilità speciali alquanto bizzarre e, per questo, costretti a vivere in un mondo separato da quello reale al sicuro da un gruppo di mostri, gli spiriti Vacui. Alla fine la metafora è palese: ogni bambino è speciale e unico a modo suo e gli spiriti vacui non sono altro che coloro che cercano di plasmare la loro mente, soffocare la loro fantasia e corrompere la loro innocenza.


Il lavoro di Arianna Camaioni inizia ragionando sul concetto di illusione, intesa come via di fuga dalla realtà. Partendo dall’opera cinematografica Viaggio sulla Luna (1902) realizzato dall’illusionista francese Georges Méliès, dove si susseguono una serie di bizzarre e surreali vicende, il suo lavoro è continuato ricercando una serie di fotografi e artisti che avessero rappresentato attraverso le loro opere questa sorta di immaginario fantastico che aveva riscontrato nel cortometraggio di Méliès.


Sfogliando alcuni redazionali è arrivata al fotografo Tim Walker, che ha scattato diversi servizi dove la scenografia era composta da paesaggi surreali e onirici.
Le stesse modelle indossavano costumi di fate, sirene e altre creature fantastiche e venivano spesso truccate come bambole o altri tipi di giocattoli. Ma il colpo di scena arriva quando scopre che tra i servizi di moda di Walker ce n’è uno dedicato a Tim Burton (Tim Burtun’s magical fashion), pubblicato nel numero di ottobre 2009 della rivista Harper’s Bazaar.
Poiché l’estetica in generale dei film del regista, coincideva perfettamente con il suo gusto e con quello che voleva trasmettere attraverso il suo progetto, ha iniziato ad analizzare alcuni dei suoi film. La produzione di Tim Burton non è che una continua elegia dell’altro, dello stravagante: in quest’ottica ciò che si considera come abilità propria dell’emarginazione si tramuta in affrancamento dalla banalità. Questi tristi altri, pieni di poetica magia grottesca, offuscano con infinita grazia la mediocrità dell’uomo comune. La visione della realtà ne risulta sovvertita, deformata: il mondo reale è statico, scarno, contrapposto al mondo immaginato che è multiforme, colorato, svincolato dal conformismo dell’ordinario.


È questo il mondo di Big Fish del 2004, che si incentra su Edward Bloom, un uomo che era solito raccontare al figlio storie assurde e fantastiche sulla sua vita, mischiando sia elementi reali che completamente inventati. E proprio da questo immaginario prende il via la produzione stilistica di Arianna, che dà vita ai suoi tessuti sulle trame del grottesco secondo l’estetica di Burton, le linee non sono precise, le forme sono sovrapposte in una mescolanza di codici. Gli abiti sembrano quasi dei costumi, allegri, giocosi. La fabula prende vita, ma questa volta non ci sono principesse, quanto esseri fuori dal comune che vivono continuamente sul filo del rasoio.


Tutto è incorniciato in un insieme di colori e immagini che sono un chiaro richiamo ai personaggi dei film del regista, I gemelli di pezza, due bambini vestiti con una tuta bianca che copre loro anche i volti, Claire Densmore, Browyn e Victor Bruntley sono tutti bambini speciali, intrisi di un potere narrativo unico, che dalla loro inadeguatezza quotidiana hanno ricavato un’unicità che risulta alla stregua del normale.


La collezione Camaioni per bambine può risultare stravagante ad un occhio più superficiale, ad un osservatore abituato a vedere nei bambini la mera riproduzione di un mini-adulto, già proiettato in quello che sarà il suo futuro. Ma, per quelli che sanno andare oltre l’ordinario, la collezione assume un senso identitario che abbraccia la più eterogenea delle libertà, fatta di innata innocenza e di estrema naturalezza. Perché è proprio così che si vestirebbe un bambino.

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