Playscape. Intervista ad Alberto Iacovoni

Stefania Berra

Che rapporto sussiste tra il gioco e l’architettura di cui ti fai portavoce nelle tue realizzazioni?

Nel mio lavoro ogni architettura è vista come un playground, un sistema di regole spaziali che permette, stimola, favorisce – o impedisce – movimenti, comportamenti, relazioni. Guardare all’architettura – lo spazio ed i suoi elementi –  in questa prospettiva permette di spostare l’attenzione dalla forma come sistema di segni, linguaggio e stile alla performance, come campo di possibilità dove l’utente/abitante/visitatore diventa un attore ma anche autore di azioni inaspettate e appropriazioni che giocano innanzitutto con le regole definite dal progetto. Nell’inglese il gioco è denominato da due parole diverse (a differenza dell’italiano): game e  play, il primo definisce il sistema di regole, il secondo la performance del giocatore. Tra i due c’è un rapporto di tensione molto fecondo – Bateson diceva che giochiamo sempre – nella vita soprattutto – con le regole stesse del gioco.  In quest’ottica l’architettura è game e la vita che essa ospita è play, e guardare all’architettura come ad un playground significa comprendere quale relazione ci sia tra le forme e gli elementi che disponiamo nello spazio e le libertà che hanno i suoi abitanti – libertà di interpretarlo, modificarlo, ricrearlo. Una prigione è un playground con delle regole così strette che i comportamenti dei suoi abitanti sono quasi tutti già scritti. Una spiaggia libera, al contrario, è potenzialmente aperta a mille possibili interpretazioni e azioni… Ecco, io credo che l’architettura – una architettura viva e relazionale – sia da qualche parte tra questi due estremi…

ma0 studio d’architettura / Piazza Risorgimento a Bari

Playscape come incontro di dinamiche ludiche, filosofiche e sociali. Qual è l’origine e lo sviluppo di questo tuo progetto?

Playscape è tante cose: il motto di un progetto per un concorso che vincemmo molti anni fa, il titolo di un libro che raccoglieva riflessioni e progetti, la voce che scrissi su un bel libro/dizionario curato da Daniela Colafranceschi , ma più in generale è una idea di  paesaggio fatto di architetture/playground in continua mutazione perché continuamente agito e modificato dai propri abitanti, a tutte le scale, dalla scala dell’oggetto a quella, appunto, del paesaggio. Un’idea che si è concretizzata attraverso un percorso di ricerca teorico e pratico, un orizzonte verso cui cerco sempre di portare i progetti, indipendentemente dalla loro dimensione o occasione.

ma0 studio d’architettura / Biblioteca per la Scuola Lombardi a Bari

Che aggettivi utilizzeresti per descrivere Playscape e quali sono le caratteristiche di questo paesaggio?

La risposta migliore a questa domanda è ancora nel mio primo libro, Game Zone: Pratiche per cambiare le geografie dei luoghi, spazi di cui appropriarsi mai uguali a loro stessi dalla forma instabile e fluttuante, dispositivi di rovesciamento creativo delle relazioni sociali nello spazio, architetture in continua trasformazione, che cambiano pelle e struttura al cambiare delle stagioni, che si spostano e si ricostruiscono al volere dei propri abitanti, ambienti multisensori ed immaginifici… La traccia che abbiamo lasciato in questo procedere discontinuo come la linea che unisce i punti di un gioco enigmistico, o le stelle del firmamento, disegna un playscape in continuo mutamento e continuamente irriconoscibile, produzione e riproduzione incessante del gioco dello spazio che si adatta e plasma sui desideri dei singoli e della collettività.

ma0 studio d’architettura / Floating Architecture/Labirinto, Festa del Gioco, Carpi

In che modo l’architettura può e deve andare oltre le convenzioni sociali, dando forma all’innovazione, alla creatività e alla diversità?

L’architettura soffre di un peccato originale, insito nella sua natura protettiva. L’architettura segrega, divide, ordina, sin dagli albori della civiltà. E poi è pesante, richiede il convergere di molti interessi perché si realizzi, è parte di un processo ben più grande e forte di quello che può mettere in moto l’architetto con il suo progetto innovativo. Eppure c’è sempre uno spazio di libertà – un interstizio come diceva Marx – in cui intervenire per rimettere in gioco lo status quo e contrastare le derive più retrograde del tempo in cui viviamo (come accade oggi per l’ossessione securitaria che spingerebbe molti a costruire una città fatta di recinti omogenei socialmente e culturalmente). Non solo, l’architetto – e tutti gli altri progettisti coinvolti nella trasformazione e costruzione della città – ha un ruolo fondamentale nel dimostrare come le risorse individuali e collettive possono essere utilizzate in modo migliore per tutti e per tutte – proponendo modelli di sviluppo e prefigurando scenari differenti – perché ogni progettista interviene allo stesso tempo sui processi, ma anche sulle narrazioni, producendo discorsi e immaginari. E a saperli coniugare bene questi due aspetti si possono ottenere dei risultati straordinari e inaspettati, nonostante tutto.

ma0 studio d’architettura / Riqualificazione Scuola Media Rodari, Bari

Il gioco, nella sua complessità, può essere considerato una realtà virtuale e deformata. Come dunque trova spazio nella quotidianità concreta?

Ogni giorno nel nostro quotidiano seguiamo le regole di un gioco stabilito dalla società di cui facciamo parte, quasi sempre senza rendercene conto. Ogni volta che deviamo da queste regole – che facciamo qualcosa di inaspettato, che esploriamo una strada che non conoscevamo, che cambiamo le nostre abitudini e cambiamo soprattutto il punto di vista iniziamo a giocare – con quella che è o appare come la realtà. Non ci vuole molto, è più semplice di quanto sembri. Basta uscire fuori dal recinto in cui viviamo – reale o immaginario, imposto o scelto. Ed entriamo in un campo nuovo, quello del gioco appunto, dove possiamo sperimentare nuove regole e relazioni.

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