Capucci, Fallaci e Marras: quando la moda diventa arte

Vito Ancona

Sarebbe opportuno definire Roberto Capucci artista della moda piuttosto che stilista. Le sue creazioni scultoree sono infatti concepite come architetture per il corpo, in grado di capovolgere con risultati sorprendenti i limiti imposti dai tessuti e riuscendo ad aggirare la forza di gravità. Quando iniziò a realizzare i suoi abiti, nel 1950, il sistema della moda era ai suoi albori e la libertà dello stilista rispetto al sistema industriale era indubbiamente maggiore rispetto ad oggi, tanto è vero che Capucci, non appena la moda divenne industria, ne prese le distanze dichiarando: “la creatività non ha il timer che scatta di sei mesi in sei mesi” e iniziò a realizzare soltanto abiti su misura e a esporre le sue collezioni nei musei.


Nel 1970 presenta per la prima volta le sue creazioni nel Museo nazionale etrusco di Villa Giulia e, successivamente, musei come il Victoria & Albert di Londra o il Kunsthistorisches di Vienna lo hanno invitato a esporre. Dal 1980 decide di presentare le sue collezioni come personali d’artista, realizzandole seguendo i suoi tempi di creazione e non scadenze o calendari.
Il suo debutto avvenne, su invito di Giovanni Battista Giorgini, alla quarta edizione dell’ “Italian Fashion Show” a palazzo Pitti, cui aveva assistito anche una giovane Oriana fallaci che aveva descritto l’evento in modo accurato su un articolo uscito per Epoca il 2 agosto del 1952. La scrittrice aveva intuito la portata storica dell’evento, che vide nascere il sistema moda italiano, con due settimane della moda all’anno — che successivamente si sono moltiplicate — e con buyer e giornalisti da tutto il mondo ad osservare le collezioni e i prodotti del Made in Italy. Oriana Fallaci nel suo articolo riservò le parole più incoraggianti proprio a un giovanissimo Capucci:
Ma il fior dei sorrisi e degli applausi è toccato alla rivelazione di questo << Fashion Show >> : a un ragazzo che non ha ancora ventun anni, alto come un soldo di cacio, timido e ingenuo come un liceale, che ha presentato una sorprendente collezione: Roberto Capucci. […] Da dove gli sia nato questo bernoccolo della moda non lo sa dire: sa solo che quando frequentava il Liceo Artistico, due anni fa, si sorprendeva spesso a disegnare figurine di donne vestite. […] Robertino ha portato alla mostra una collezione fresca e scanzonata di tailleur. Le donne di Robertino hanno l’aria ingenua e sbarazzina di educande scappate dal collegio e la sera diventano improvvisamente fatali, come donne sognate dagli studentini […]. Quando scoppiarono gli applausi, ebbe paura, fece il viso rosso e scappò. (O. F.) 


La mostra Seriche armature al Labirinto della Masone nei pressi di Fontanellato (PR), inaugurata l’8 ottobre 2022 e prorogata fino al 16 aprile 2023, rappresenta l’occasione perfetta per ammirare le creazioni di Roberto Capucci, che coprono un arco che va dagli anni cinquanta fino ad oggi. Soltanto il labirinto meriterebbe un intero capitolo: nato nel 2015 dal sodalizio tra l’editore, grafico e collezionista Franco Maria Ricci e Jorge Luis Borges, è stato realizzato con una grande varietà di bambù ed è il labirinto più grande al mondo.
Gli abiti di Capucci sono esposti negli spazi coperti che ospitano la collezione permanente di Franco Maria Ricci generando così uno scambio prolifico con le opere della collezione. La collezione comprende opere scultoree, dipinti, illustrazioni, tarocchi e edizioni rare che vanno dal Cinquecento al Novecento. Gli abiti di Capucci, proprio come opere d’arte, risultano sospesi nello spazio e nel tempo, condensano temi, idee, miti, piuttosto che tendenze passeggere, e per questo motivo risultano tanto classici per eleganza quanto avanguardistici negli accostamenti cromatici e nella sperimentazione dei volumi, esaltando il gusto artistico di Ricci e della sua collezione, in un gioco di scultorei rimandi.
Ad esempio, le forme sinuose dell’abito “calla” trovano candidamente posto accanto a una scultura di Adolfo Wildt, mentre la coppia di vestiti “maschere” si colloca nella sala del memento mori, tra macabri dipinti con teschi e scheletri.


Puro colore e materia che si increspano generando forme ardite. Difficilmente si trovano nelle creazioni di Capucci stampe o elementi preesistenti, proprio perché il suo processo di modellazione parte dal punto zero della creazione artistica, laddove non esistono ancora riferimenti coscienti, ma soltanto forma e colore.
C’è sempre una certa eleganza e femminilità nelle sue creazioni, una femminilità quasi irraggiungibile, quella delle dive: Marilyn Monroe, Gloria Swanson, Jacqueline Kennedy, Elsa Martinelli, Irene Brin e Rita Levi Montalcini hanno indossato i suoi abiti, ma la sua vera e irrinunciabile musa era stata Silvana Mangano, per la quale aveva disegnato i vestiti per il film Teorema di Pasolini. Tanto che dopo quell’esperienza Capucci, non per delusione ma, al contrario, perchè lo ritenne uno dei momenti più alti della sua carriera, non volle più realizzare costumi per il cinema. Christian Dior lo definì in un’intervista su Vogue: “il miglior creatore della moda italiana”, mentre Antonio Marras, altro grande creatore, ha dichiarato:
Roberto Capucci è un trasformista, è un Houdini, è un mago, un inventore, ma soprattutto un giardiniere, il principe della natura. Lui non disegna abiti, li plasma, come se fossero preziosa porcellana. Roberto Capucci è un matematico e un botanico, è ingegnere aereospaziale e il piccolo principe di Saint-Exupéry che chiede di disegnare una pecora per mangiare il baobab. Roberto Capucci esplora e narra di un mondo di abiti animati. Un mondo fatto di miti divenuti materia vivente, un universo in continua trasformazione, come una natura viva e mutante. 


Capace di rendere le sue creazioni naturalmente organiche e sinuose, senza cadere mai in pedisseque imitazioni della natura, ma trasfigurando le forme, gli elementi e i miti, rendendoli vivi e mutevoli.

© Foto Glamour Parma

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