Alessia Michelini
Il 20 Ottobre 2021 sarà la data d’inizio dell’esposizione monografica di Martin Margiela, presso Lafayette Anticipation, prima personale dello stilista belga. La fondazione ha affermato che la mostra, concepita come un’opera d’arte totale, sarà l’ennesima riprova che Margiela è sempre stato un artista fedele ai suoi valori, dentro e fuori il mondo dell’arte. Non c’è da stupirsi infatti che il designer, terminato il suo lavoro di direttore creativo della maison, abbia continuato il suo percorso artistico tramite la creazione di opere d’arte, in quanto la sua visione della moda si è da sempre legata ad una riflessione artistica di rilievo. Della mostra poco è stato ancora detto: i temi saranno la trasformazione, il tempo, l’aura ed il mistero. Anche in questo caso, il vuoto di informazioni non dovrebbe sorprendere: Margiela è da sempre cultore dell’impersonalità, tanto da farne una cifra del suo marchio.
Con un occhio indagatore e la ferma convinzione che per capire il presente sia indispensabile uno sguardo al passato, ripercorriamo la storia di Maison Margiela per inquadrarne le dinamiche e forse intuire cosa potremo aspettarci dalla mostra autunnale della fondazione Lafayette.

Martin Margiela fondò nel 1988 la sua casa di moda, dopo un apprendistato presso Jean Paul Gautier. Erano gli anni 80, epoca dell’iperfemminismo, degli eccessi, la logomania e la sessualizzazione. I vestiti di Margiela invece si proponevano come indumenti informi, monocromatici, disfatti e rotti, dalle forme marginali, asimmetrici e piatti. Definito proprio per ciò un iconoclasta, lo stilista ha ripreso la bidimensionalità, tipica della prima generazione di designer giapponesi, per creare una vera e propria moda decostruttiva. La sua prima sfilata nel 1989 lo ha consacrato come “il paradigma dell’anti-moda”: in una zona abbondonata nel quartiere nordafricano della periferia di Parigi, vennero presentati gli abiti al ritmo di un tamburo in loop e registrazioni di persone che suonavano per strada. Non c’era nessuna impostazione e costrizione, Margiela volle che le modelle camminassero normalmente assieme ai ragazzini del quartiere che giocavano durante il défilé. I 500 spettatori, invitati tramite disegni fatti da bambini di scuole locali, sedevano senza gerarchia, seguendo la logica del “chi prima arriva meglio alloggia”. I capi avevano maniche allungate con cuciture a vista, abiti con orli sfilacciati, cappotti di tela, top con sacchetti del supermercato o in cartapesta, le famose scarpe tabi con la punta divisa.

E’ chiaro che la brand promise della maison è, dalle origini, legata ad intellettualità sofisticata e basic, un gusto per la non convenzionalità e un inusuale approccio all’oversize. La ricerca decostruttiva di Margiela rappresenta la messa in discussione delle teorie consolidate nel campo della moda, ma allo stesso tempo vuole essere analisi del processo di produzione che si cela dietro gli abiti. Il legame con l’arte, caposaldo sempre coerentemente portato avanti dal marchio, si intreccia con la sperimentazione e un’attenzione maniacale per le forme, materiali, struttura e tecnica. Gli abiti si fanno portatori di un processo di rottura attento a nuove interpretazioni con bordi grezzi, deliberatamente non finiti, indumenti neutri o anonimi che rompono una definizione di genere presentandosi quasi genderfluid. Allo stesso modo la scelta monocroma basata sulla predilezione di bianco, nero e rosso, sposta l’attenzione dalla funzionalità del colore al suo valore.
Altri elementi chiave, per comprendere Maison Margiela oggi, sono da ricercare nell’atteggiamento provocatorio dello stilista belga nei confronti dell’uso di materiali riciclati e nella scelta dell’anonimato. L’upcycling, tema che attualmente rappresenta una delle nuove sfide della moda, è sempre stato uno dei concetti su cui Margiela si è focalizzato, un po’ per provocare, un po’ per sensibilizzare. L’anonimato è invece argomento più complesso che si intreccia sia alla figura di Martin Margiela sia alle sue creazioni. Lo stilista è uno dei pochi che ha rifiutato il culto della personalità, sottraendosi al binomio marchio-stilista. Non ha mai concesso un’intervista diretta, non ha mai dato informazioni sulla sua vita privata. Tutte le interviste venivano effettuate tramite fax, comunicando sempre in prima persona plurale, tanto che uno dei documentari sulla maison si intitola proprio We Margiela. Quest’anonimato categorico si è riflesso in termini di marchio tanto nelle storiche etichette bianche con quattro cuciture quanto sulle modelle che spesso nascondono i volti con maschere in tessuto. Ovviamente tutto questo ha alimentato la curiosità e l’attenzione mediatica, e la Maison è stata brava nel saper sfruttare in termini d’immagine e riconoscibilità l’approccio concettuale di Martin Margiela
Le idee dello stilista sulla democratizzazione della moda, che ben si rispecchiano nella multifunzionalità dei suoi abiti, si riflettono anche a livello di pricing tramite la divisione del brand in 23 linee con prodotti differenziati in fasce: dalla Haute Couture con il numero 0, denominata Artisanal per sottolineare la manifattura artigianale, alla linea 6, conosciuta come MM6, per un pubblico più amplio.

Dal 2014 la direzione creativa del brand è passata nelle mani di John Galliano, dopo il ritiro dalla scena di Martin nel 2009 e l’acquisizione nel 2002 da parte di OTB. Il marchio non ha sofferto della mancanza della sua guida, in quanto è stato vincente i riferimenti all’Heritage della maison con una comunicazione d’immagine minimalista, monocroma, ibrida e stratificata. Dal 2019, in linea con i principi di Martin Margiela, Galliano ha reinterpretato il maschile e femminile, introducendo collezioni Co-ed mentre dalla collezione autunno-inverno 2020 ha creato capi “Recicla”, dove vecchi pezzi originali sono stati utilizzati per creare capi nuovi. Per l’ultima collezione Artisanal primavera- estate 2021, Galliano ha pubblicato il film S.W.A.L.K II, dopo il primo capitolo del luglio scorso. Il video, firmato da Nick Knight, vuole raccontare la creazione degli abiti della stagione. In questo Galliano si differenzia molto da Martin Margiela: nel filmato, il percorso creativo viene spiegato con presentazione di moodboard a tema tango, le atmosfere, influssi e processi di ricerca.
