Vito Ancona
Dalla sua apertura nel lontano 1988, soltanto lo scorso 6 maggio è stata inaugurata l’esposizione della collezione permanente del Centro Pecci di Prato.
Dopo anni di problemi di sistemazione della collezione e di ricerca di una identità per la stessa, è finalmente riuscita a indossare una veste nuova per raccontare il contemporaneo – in senso letterale dal momento che le pareti delle sale espositive sono rivestite di tessuto per celebrare l’industria tessile pratese – grazie alla curatela di Stefano Collicelli Cagol, il direttore che è riuscito a risollevare il Centro Pecci, e all’allestimento degli ormai celeberrimi Formafantasma, lo studio di design specializzato in allestimenti espositivi fondato da Andrea Trimarchi e Simone Farresin.
La collezione permanente del museo ha trovato una sua identità, pur rimanendo multiforme e sfaccettata, in una parola “Eccentrica”. Il titolo della mostra permanente ha un accezione sia fisica che metaforica: riprende la forma ellittica dello spazio espositivo progettato da Maurice Nio, senza spigoli e gerarchie, come una navicella spaziale che si smaterializza mentre tende al cielo, pronta a trasportarci altrove, ma evoca anche la fluidità dei linguaggi in mostra e delle opere esposte, che non vogliono raccontare un movimento artistico chiuso e concluso, ma il confluire delle tendenze dell’arte contemporanea.
Le opere in mostra utilizzano diversi media combinati e pongono molta attenzione sia sul territorio Toscano e sul movimiento Firenze 70, sia sul panormama nazionale e internazionale, con un importante focus sulla poesia visiva e gli sconfinamenti linguistici, tra parola e gesto, sulla performance e sulle nuove istanze socio politiche.
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La mostra è articolata in Quattro sezioni:
IL CENTRO IN UNA STANZA, prima sezione della mostra è il nucelo centrale, da cui si irradiano le altre sezioni. È costituita dalle prime acquisizioni della collezione. Con opere di grandi nomi come Julian Schnabel, Anish Kapoor e Jannis Kounellis. Si percepisce fin da subito l’attenzione agli sconfinamenti nella musica, nel design, nella moda e nella fotografía e alla cultura degli anni ottanta, decennio di fondazione del museo, da cui la collezione trae linfa. Tra Grace Jones fotografata da Edo Bertoglio e il minimalismo di Robert Morris. Conclude la sezione il commovente Commemuro dell’artista fiorentino Francesco Torrini, dedicato ai morti di HIV nel territorio toscano e mai più esposto dal Centro dopo il 1993.
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Nella seconda sezione, IL TAGLIO È UNA MACCHINA DEL TEMPO, Il taglio si fa mezzo per sconfinare nel tempo e nello spazio, per metabolizzare il retaggio fascista e terrorista che ha angosciato l’Italia, per aprire squarci e sovrapporre epoche diverse con le opere di Lucio Fontana, Gerhard Richter, Andy Warhol, Nan Goldin e Fabio Mauri, il cui poster della performance Che cosa è il fascismo riporta alla memoria la performance organizzata a Prato dal Centro Pecci insieme al Teatro Metastasio. Ma il taglio è anche un’opportunità per celebrare le cesure e i traumi del femminismo, i fantasmi e le riflessioni di Chiara Fumai, cui il Pecci aveva dedicato un’importante mostra personale nel 2021, Verita Monselles, Lucia Marcucci, Ketty La Rocca, Silvia Mejía, Nanda Lanfranco, Giulia Cenci e VALIE EXPORT. La sezione si conclude con l’opera di Giulia Cenci, un animale a due teste che sembra arrivare nel presente da un futuro post-apocalittico.
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ITALIA NOVANTA, la terza sezione, è una riesplorazione del decennio degli anni Novanta attraverso le opere degli e delle artiste esposte.
Come la mostra, l’Italia degli anni novanta è ancora un enigma da decifrare, Tra Arte Relazionale, la fine della Prima Repubblica , stragi di mafia, globalizzazione, il crollo dell’Unione Sovietica e nuovi assetti geopolitici. In Italia il decennio si è aperto con l’euforia dei mondiali di calcio disseminati per gli stadi di tutto il Paese e si è concluso, idealmente, con il G8 di Genova. Tanti stravolgimenti politici, ma anche tanta sperimentazione estetica e formale a coprire il marasma di sottofondo.
Francesco Lo Savio indaga la relazione tra materiali e forme, tra luci e posture di chi la guarda. Accoglie chi visita la mostra l’arazzo a quattro mani di Alighiero Boetti e Mimmo Paladino, sfatando il mito del conflitto tra Arte Povera e Transavanguardia. Liliana Moro allestisce un dispositivo per “sostenere l’insostenibile leggerezza della gommaspugna che tutto assorbe e trattiene”. L’orizzontalità è la cifra di questi anni, tra le sculture in legno di Daniela De Lorenzo e il letto incrociato di Vito Acconci che impone una gerarchia alla coppia che vi si stende; anche i Kinkaleri fanno collassare i corpi su scorci di grandi città di tutto il mondo, metafora dell’esaurimento di un ordine mondiale etnocentrato; anche Massimo Bartolini, interessato alla relazione tra performance, corpo collettivo e paesaggio, crea un’aiuola formata da corpi distesi e uniti tra loro. Tentativi di connessione orizzontale tra gli individui, ostacolati da un mondo in violenta trasformazione.
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FUTURO RADICALE
Le sperimentazioni del Centro Pecci non potevano non tener conto dello spazio architettonico e dei progetti futuri, come memorandum per non arrestare la ricerca. Questa sezione parte rievocando la generazione di giovani architetti che hanno ripensato la città dopo l’alluvione di Firenze del 1966: Superstudio, Archizoom Associati, UFO, 9999, Ugo La Pietra e Gianni Pettena, le cui riflessioni e progetti sono stati raccolti da Germano Celant sotto l’etichetta di “Architettura radicale”. Questi gruppi ripensano il futuro e le relazioni interpersonali, le funzioni e la cultura della conservazione dei centri storici italiani. Intere generazioni sono state ispirate dalle loro visioni, che hanno preannunciato l’idea di rete globale, di relazione tra le specie e di dipendenza dall’approvvigionamento energetico, evocando una nuova capacità di vivere in armonia con l’ecosistema. L’ultima sezione di Eccentrica è dedicata allo sviluppo futuro nel mondo digitale della collezione. Tra disegni, progetti, collage, sculture, prototipi e film.
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