PaS°A gioielli, tra design e ricerca

Intervista di Stefania Berra ad Alessandra Pasini

Stefania Berra: Partiamo dal principio e, come tutte le cose che nascono, anche la tua idea di arte e il tuo progetto imprenditoriale hanno un proprio inizio. Come nasce e si sviluppa la tua attività di artigianato nel mondo del gioiello?

Alessandra Pasini: Non saprei esattamente definire quando PaS°A gioielli è nata, mi sembra in realtà che esista da sempre. Le mie mani le ho sempre “usate” per dare forma a qualche idea o forse ho sempre avuto bisogno di essere impegnata a fare cose per tenere la mente occupata e non pensare troppo. Il mio percorso scolastico è stato caratterizzato da alti e bassi, i 5 anni di scuola d’arte che ho fatto sono stati meravigliosi, li ricordo come un periodo bellissimo, e lì ho probabilmente messo le basi per quello che sono diventata. Ho incontrato nella mia vita bellissime persone, capaci, che mi hanno insegnato tanto, mi hanno dato fiducia e hanno creduto molto in me, correggendomi e criticandomi in modo costruttivo, sono stati degli spartiacque nella mia crescita personale e professionale. Credo che PaS°A gioielli sia nata quindi un po’ alla volta: è il frutto di quello che mi hanno lasciato coloro che ho incontrato nel mio cammino sommati alla mia necessità di tenere mente e mani occupate in cose che mi facevano stare bene. È cresciuta, è maturata, è diventata grande insieme a me grazie alle persone che nel tempo hanno percepito che quel gioiello o quell’oggetto era un po’ simile anche a loro.

S. B. : Il materiale che preferisci, come tu stessa hai affermato, è l’ottone. È un metallo particolare, economico e certamente destinato ad una naturale ossidazione. La natura d’altro canto è la tua prima fonte di ispirazione. Quali sono le motivazioni che ti hanno spinta a scegliere questo tipo di linea produttiva?

A. P. : L’ottone l’ho sempre amato, la natura di più. Non è stata una scelta produttiva vera e propria, ma più che altro lavorare con metalli non nobili ti permette di sperimentare in modo libero senza pensare di dover pesare i grammi del metallo usato. Inizialmente combattevo la sua naturale ossidazione, poi invece ho cominciato a vederla come un valore aggiunto…un po’ come le grandi star del cinema o del teatro che sono fiere delle loro rughe, a dimostrazione della loro maturità. Certo va pulito ogni tanto, ma un po’ come tutte le cose, per mantenerle belle hanno bisogno di cure e attenzione.



S. B. : Il rapporto con la materia è certamente il punto di partenza: saperla scegliere, maneggiare, curare, levigare. Quali sono le tempistiche di un lavoro così raffinato e preciso?

A. P. : Il tempo? Non saprei, a volte è immediata la creazione di un monile, a volte richiese anni. Soprattutto per i pezzi unici o le serie limitate avviene questo: all’improvviso immagino una forma o un oggetto e questa immagine è la somma di tanti piccoli “pezzi” che sono nella mia quotidianità da tempo, che magari sono sul mio tavolo da lavoro da mesi e che ho appoggiato lì, consapevole che prima o poi sarebbero diventati altro.
Magari sono pezzi di ferro arrugginito trovati a terra, magari sono galle di quercia che ho trovato nel bosco o prove di lavorazione in ottone che poi non hanno avuto un seguito produttivo. Quindi, credo che le tempistiche per la creazione dei miei manufatti siano la somma di piccole azioni e pensieri quotidiani che al momento giusto prendono forma e si innamorano l’uno dell’altro.

S. B. : Proponi diverse collezioni, ognuna delle quali è caratterizzata da una sua propria storia, una sua propria anima e identità. Ciascuna di queste, è destinata ad una specifica personalità? Qual è il processo, se così vogliamo chiamarlo, che ti permette di passare dalla teoria alla pratica e quindi da una bozza di progetto all’oggetto materiale prendendo in considerazione i diversi destinatari ai quali vuoi “assegnare” il tuo monile?

A. P. : Si vero, mi hanno sempre fatto notare le differenze stilistiche delle mie collezioni. Alcune davvero molto romantiche, figurative ed emozionali, altre che definisco da “architetto” più geometriche, rigide e minimali. Immagino che sia per il fatto che sono un architetto mancato che combatte quotidianamente con un’anima contadina. Credo di avere una personalità in continuo “conflitto”, un po’ di qua un po’ di là e credo che siamo tutti un po’ così. Provo comunque lo stesso stupore e la stessa meraviglia quando lavoro su collezioni molto diverse tra loro e non penso a chi sceglierà quel manufatto, perché tutti siamo composti da tante anime diverse.



S. B. : Perché si potrebbe definire la tua una gioielleria sperimentale ed ecosostenibile? Quanto è importante oggi prendersi cura della natura come fonte prima di vita?

A. P. : Sperimentale perché non mi fermo mai, il mio processo creativo mi sembra in continua evoluzione e quando creo una collezione penso già a quella successiva. A volte qualsiasi cosa mi porta verso altro, ogni materiale è utilizzabile e può essere trasformato in altro. Ecosostenibile non per tutto purtroppo, sono consapevole che l’impatto ambientale del mio lavoro ha un suo peso, è pur sempre metallo e le ditte dalle quali acquisto la materia prima sono comunque industrie. Nel tempo questa consapevolezza mi ha portato a cercare un modo di compensare tutto ciò. Così da un paio d’anni a questa parte alla fine dell’inverno pianto alberi; ho la fortuna di avere il posto per poterli piantare. Così anno dopo anno sto mettendo le basi per quello che diventerà, sarà un bellissimo bosco.

S. B. : Come potresti descrivere in tre aggettivi la tua professione e a cosa aspiri per il tuo futuro imprenditoriale?

A. P. : Necessità, creatività, poesia. Futuro imprenditoriale non so, però spero in una bella casetta in Appennino in mezzo agli alberi dove abbracciarli e da dove poter osservare di notte le stelle. Sicuramente vorrei avere la possibilità di lavorare più su pezzi unici, quasi opere d’arte, farmele pagare il giusto e potermi prendere il lusso di poter camminare più spesso in mezzo ai boschi.



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