Di non facile definizione è la personalità di Giorgia Cicatello; non meno arduo inquadrare il suo brand. Un’opera che fuoriesce dai limiti angusti della cornice, un libro di immagini che tessono trame, sulle cui pagine scorrono Roma, Parigi e Berlino; un diploma d’arte, esperienze come scenografa, costumista e, infine, l’approdo al settore moda, dove convergono, nella cifra stilistica del suo brand, passioni e competenze tra le più svariate, vocazione scultorea e vocazione decorativa. Quasi la retina cristallina del suo monogramma si possa frantumare nelle rifrazioni del cristallo. Il cristallo non si lascia ingannare dai raggi che insistentemente lo colpiscono. Negli abiti sartoriali realizzati dalla designer, nelle applicazioni e nei volumi narra una storia. Non si lascia scomporre.
Giorgia, come inizi a creare un abito? Quali sono le tue fonti primarie di ispirazione, i dettagli e i materiali che prediligi?
Non ho ancora ben chiaro quale sia il punto dal quale inizio per creare un abito. Io lo vedo nella mia testa, si manifesta in forma non del tutto definita a seguito di un evento, di una sensazione, dalla vista di qualcosa che cattura la mia attenzione. È lì che inizia il mio processo creativo, ma credo sia un percorso abbastanza comune tra i designer. È l’ispirazione che dà vita ai miei capi. Essa può arrivare davvero da qualsiasi cosa. Non esiste una logica in essa. Esiste una sensazione che ti arriva, ti travolge e fa scattare in te milioni di idee, tutte pronte per essere messe in pratica. Sicuramente, una delle mie fonti d’ispirazione più comune, ultimamente, riguarda le storie e le persone. Mi piace ascoltare le persone, dei più disparati argomenti. Ognuno ha una visione del mondo differente, ma da ogni individuo puoi imparare tanto, e farmi ispirare dalle loro storie è sempre motivo di forte creatività. Nei miei capi cerco di riportare proprio questo attraverso le linee, magari che accompagnano il corpo, o lo stravolgono in forme quasi estreme, o nei capi dal design estremamente minimal, ma con dettagli quasi ossessivi che si ripetono come parole che rimbombano. Sono una sperimentatrice, mi piace variare costantemente da un materiale all’altro, da un tessuto leggiadro e impalpabile, fino a materiali più forti, quasi asfissianti. Prediligo, però, sicuramente, materiali sostenibili, di fine pezza, riciclati, scampoli o organici.
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Volume, dettaglio, linea… o cos’altro? Quali elementi contribuiscono a dare ad un abito la sua unicità?
Quando disegno i miei capi, siano essi destinati ad un cliente specifico, siano essi destinati ad una collezione, per me devono permettere a chi lo indossa di liberare la propria personalità e di poterla esprimere al meglio. Sicuramente prediligo molto i contrasti, silhouette morbide con tagli squadrati, linee minimal con dettagli minuziosi, volumi scultorei in palette neutrali. Mi piace immaginare il dualismo che c’è in ogni individuo come uno dei capisaldi del mio brand, quindi mi diverto a lasciare spazio alla mascolinità e alla femminilità presenti in ognuno di noi.
In bilico tra la sartoria da cerimonia e il gioiello. Potremmo dire che l’eleganza sia uno dei termini che contraddistingue il tuo brand?
La parola deriva dal latino “eligere”, cioè scegliere. È un’arte di vivere e di pensare che può manifestarsi nel modo di vestire, ma che va oltre l’abbigliamento. Riguarda anche il portamento, i gesti, il modo di parlare. È un misto di educazione, gusto, personalità e curiosità. Ed è qualcosa di assolutamente misterioso nella sua composizione finale. Fa parte ed esprime al meglio uno dei valori del mio brand e mi piace esaltarlo negli abiti sartoriali, donarlo attraverso la sperimentazione di un gioiello, nonostante nel mio percorso mi sia allontanata dalla cerimonia e dal gioiello vero e proprio. Ho evoluto questi due concetti, riportandoli anche nei capi prêt-à-porter, per esprimere al meglio tutto questo. L’eleganza è un mood, bisogna essere consapevoli per poterla esprimere.
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La tua storia più recente si articola in importanti traguardi, come la partecipazione alla Biennale d’Arte di Venezia 2019, dove sono stati esposti tre dei tuoi abiti. Ci puoi raccontare di questa tua esperienza, al valico tra moda e arte? Quali altri esperienze consideri importanti nel tuo percorso?
La partecipazione alla Biennale d’Arte di Venezia è stato uno dei momenti più creativi del mio lavoro. Quando mi hanno proposto di far sfilare i miei abiti all’interno di uno dei padiglioni della Biennale, mi sono sentita al settimo cielo. Avevo la possibilità di poter rompere gli schemi della moda, di poter davvero sfociare in qualcosa di artistico. E ho scelto di raccontare e di esprimere quello che poi è diventato il messaggio chiave del mio Brand: “la consapevolezza plasma la nostra libertà”. E l’ho fatto attraverso la storia di una donna, dapprima coperta nella sua armatura, ma che dopo esplode nella sua natura e naturalezza, lasciando il suo corpo libero di esprimersi, di essere sfiorato da tessuti leggeri, fino ad essere parte del tessuto stesso e viceversa. L’abito finale era quasi una seconda pelle, che esaltava, attraverso l’uso dell’oro e dei ricami, le venature del corpo, trasformandole in ramificazioni, poi in fiori. Vedere tutto questo prendere vita, e ricevere apprezzamenti e critiche. Questo è sicuramente un motivo di forte crescita personale. La Biennale ha portato con sé una valigia di emozioni e di esperienze, ma sicuramente ogni evento, ogni contest, ogni partecipazione, sia essa piccola o grande, sia essa la Mostra del Cinema a cui ho recentemente partecipato, o la sfilata di apertura della Milano Fashion Week, porta con sé esperienza, crescita e stimolo sia a me, come persona, che al mio Brand.
