Sfilare nel tempo. La stabilizzazione del formato “sfilata”

Sofia Busignani

L’industria della moda cambiò profondamente nel passaggio di decennio tra gli anni Settanta e Ottanta. Questa volta i cambiamenti non avvennero dietro le quinte bensì davanti agli occhi di tutti: la passerella si posizionò al centro dell’attenzione mediatica, non solo del settore, ma di tutta la società. Se l’ascesa del prêt-à-porter era stato un cambiamento dell’industria che aveva dato il via alla sfilata così come ce la immaginiamo oggi, dagli anni Ottanta quelle sfilate divennero l’arena che avrebbe dato vita ai cambiamenti chiave dell’industria. L’affermazione dell’underground nella moda, l’emergere dei designer giapponesi Rei Kawakubo e Yohji Yamamoto, la nascita della London Fashion Week, l’apparente rinascita dell’alta moda, furono tutti eventi che si imposero sulla, e grazie alla, passerella. Un esempio dell’affermazione degli stili underground può essere il punk, probabilmente l’influenza più importante e duratura degli anni Settanta sulla moda, che ebbe origine non dall’alta moda parigina, e nemmeno dal prêt-à-porter, bensì in un piccolo negozio londinese, Seditioners. Con sede al 430 di King’s Road a Chelsea, era gestito dall’impresario musicale Malcolm McLaren e dalla sua compagna Vivienne Westwood, che a loro volta stavano captando le idee e le nozioni estetiche di piccoli gruppi di musicisti e seguaci sia a Londra che, in modo più significativo, a New York. Il punk non aveva nulla a che fare con la moda, ma il suo immaginario fu presto adottato da designers d’avanguardia come Zandra Rhodes a Londra e Jean Paul Gaultier a Parigi, tramite le cui passerelle raggiunse un pubblico più ampio di quello originario. Anche nomi più affermati, come Claude Montana, presero in prestito dal suo ricco linguaggio. Nel 1981 Westwood e McLaren, sotto l’etichetta World’s End, scelsero di sfilare su una passerella per la prima volta, un passo consapevole in un sistema elitario, di cui, anche se l’avevano precedentemente rifiutato, non potevano fare a meno per farsi davvero sentire: negli anni Ottanta la passerella non fu un simbolo della ribellione del prêt-à-porter contro la tradizione della haute couture couture, né un veicolo dell’establishment, bensì era ormai l’unico modo in cui gli abiti potevano essere mostrati.

Una sfilata di BoyMap negli anni ’80

La rivoluzione fu che gli stili subculturali, o addirittura antifashion come Westwood, Kawakubo, Gaultier o, a Milano, l’irriverente Franco Moschino, condividevano lo stesso luogo di esposizione con gli stilisti che definivano la silhouette contemporanea, come Montana e Armani, e con il mondo borghese e immutabile della haute couture parigina. Se gli anni Settanta erano stati un decennio di incessante sperimentazione nei modi di presentazione della moda, il decennio successivo vide un generale assestamento della situazione. Emerse un modello, uno stile. A Parigi, le sfilate iniziarono ad essere tenute in un set-up semi-permanente di tendoni piantati nei giardini delle Tuileries o nella Cour Carrée, nel ramo orientale del museo del Louvre. A Milano, circa un terzo degli stilisti usava la Fiera, nel quartiere Portello, mentre altri iniziarono a sfilare in showroom e anfiteatri costruiti su misura, emblemi del successo del boom del prêt-à-porter italiano. A Londra, nel 1983 venne fondato il British Fashion Council, con lo scopo preciso di organizzare e coordinare la promozione delle settimane della moda nel Regno Unito. Nel marzo 1984 il British Designer Show e il London Designer Collections, che avevano organizzato sfilate dal 1975, segno di una scena espositiva frammentata, furono riuniti sotto lo stesso tetto, all’Olympia, usato principalmente per le manifestazioni sportive. Per la prima volta la settimana della moda di Londra aveva un’industria coesa con esposizioni, sfilate, premi e attività sociali coordinate. Per tutto il resto degli anni Ottanta il BFC continuò a programmare e organizzare sfilate di moda insieme al British Designer Show all’Olympia.

Una sfilata di Claude Montana nel 1983

Londra divenne una città chiave per la stampa e i compratori che cercavano la next big thing. Tra gli altri stilisti chiave che reinventarono il concetto di sfilata in passerella c’era l’etichetta progressista BodyMap, che si concentrò sul casting diversificato per i suoi modelli, in termini di età, taglia, colore e genere. L’atmosfera era “bizzarra come un qualsiasi video di una rock star”. La scena delle sfilate nel Regno Unito passò poi attraverso diversi cambiamenti fino ai primi anni Novanta, quando si diede vita al London International Fashion Show, che riuniva tutti i settori dell’industria. Intanto a New York gli stilisti presentavano le loro collezioni in alberghi, studi e, nel caso del giovane stilista Stephen Sprouse, addirittura in nightclub. Parigi, Milano, Londra e New York si erano affermate come le quattro capitali della moda, proprio in quanto centri di sfilate.

I luoghi potevano essere diversi, ma il formato ormai era consolidato: riflettori puntati su ogni look, musica invadente e passerella rialzata con il nome dello stilista, in grande, sullo sfondo, per differenziare ogni presentazione da tutte le altre sfilate, che ormai rischiavano di assomigliarsi sempre più. Il termine inglese per passerella, catwalk, era in uso già dagli anni Quaranta, per descrivere lo spazio lungo il quale avanzavano le modelle, ma fu solo dagli anni Ottanta che si usò riferito esclusivamente alla struttura, simile ad un palcoscenico, su cui sfilavano le modelle, struttura che a volte diveniva teatro di vere e proprie performances. Con l’avvento di modelle come Jerry Hall, Marie Helvin e Pat Cleveland (ancora in primo piano all’inizio del decennio) e altre, tra cui Marpessa Hennink, Violeta Sanchez e Katoucha Niane (nuove stelle emergenti) fare la modella negli anni Ottanta comportava mostrare se stesse tanto quanto i vestiti, come se loro fossero le attrici di uno spettacolo in cui al centro non stava tanto la trama quanto i costumi e chi li indossava.

Testo tratto dalla tesi di laurea magistrale di Sofia Busignani, 1892 – 2021: la sfilata di moda e i suoi cambiamenti attraverso le pagine di “Vogue Magazine”.

Bibliografia
FURY, ALEXANDER, MOORE, CHRIS, Catwalking, Laurence King, Londra, 2017
GRUMBACH, DIDIER, Fashion Show, Paris style, MFA publications, Boston, 2006
MUSÉE GALLIERA, Showtime: le défilé de mode, 3 mars – 30 juillet 2006, Paris Musées, Parigi, 2006

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